In quella linea che può sconfinare nell’office schooling: io da una parte della scrivania in cerca di una comfort zone per i pochi neuroni sopravvissuti al #coronavirus; mio figlio dall’altra a mitragliare ogni spazio di silenzio con tabelline e declinazioni del verbo “giocare”. O peggio ancora, nell’home working: io in cucina con una mano sul telefonino e l’altra in testa per fissare la deadline della mia pazienza; mio figlio davanti la tv in attesa di un toast carbonizzato che poi diventa un pranzo non consumato.
Aiuto: scuole chiuse e braccia aperte.
Cambia il bioritmo delle giornate. Lui nella mia confusione, io nel suo ordine. E viceversa. È l’era del “si salvi chi può”. A casa in quarantena. O in ufficio, ma in totale isolamento dalla concentrazione. E così l’agenda di una mamma lavoratrice, aspirante imprenditrice, si trasforma nel diario semiserio di un periodo da ricordare (nel bene e nel male). Il panico da epidemia s’intreccia alla paura del contagio da stress genitore-correlato. Tutto il resto è un equilibrio sopra la follia.
Scenario • Tata e nonni con la febbre. Doposcuola e palestre con i sigilli. Tutte le cartucce per le 24h esaurite. Compiti per casa a gogò. Dall’altra parte, media giornaliera di ore lavorate in due (mamma e papà): 20. No pause. No pranzo. No vie d’uscita. Mio figlio è buono come il pane, ma certo qualcosa da spalmargli sopra per insaporire le sue giornate devi pur sempre trovarla. E nel tuo archivio non c’è granché, escludendo videogiochi e youtube (max consentito 1 ora e mezza al giorno). Occorre rimodulare i pensieri. E le azioni.
Parental control • A 7 anni è obbligatorio, quasi come un radar che scannerizza ogni movimento (mio marito pensa che sono esagerata, ma per ora è cosi): e per noi che lavoriamo in autonomia non c’è ipotesi congedo, né misure straordinarie per arrivare a fine mese, se non porti a casa obiettivi e risultati. A lavorare si deve andare. Ma non resta che rimodularci. Rimaniamo in due: io e lui (sempre mio marito, #emenomalecheesiste), pronti allo switch veloce, tra una scadenza e l’altra, tra un appuntamento fuori porta e la porta di casa. Le telefonate “Amore come va/Amore tutto bene” diventano comunicazioni per la gestione turni del sistema di rilevazione presenza.
Viral calendar • Ore 7 di mattina di un giorno che come un altro non è, dove la parola #coronavirus rimbalza come una palla pazza tra tv, radio, telefonate, video, social. Già la dose di ansia ha oltrepassato la linea di alert; adesso tocca capire come si evolverà questa giornata, la seconda di una parentesi che può allargarsi a dismisura. Si va random, senza planning, senza software né gestionali: siamo bravi a fare i manager familiari quando tutto è scientificamente programmato. Ma in questi giorni si naviga a vista. Con le dita incrociate.
Imprevisti • Scappa a scuola entro le 12 a ritirare i libri mancanti, ché poi non c’è più tempo perché (com’è giusto che sia) scatta l’ora dell’igienizzazione delle aule. Compra la colazione, compra la merenda, compra il pranzo e anche la cena per i prossimi 10 giorni che se il supermercato si svuota per l’effetto psicosi è un delirio.
Allo scopo di contrastare e contenere • Le misure in materia di gestione dell’emergenza sono le più disparate e prevedono: trasformazione stampante aziendale in “piccolo gioco per piccoli stagisti”; compiti in autonomia con penna cancellina e aiutino da casa; conference call con cliente previa attivazione tasto “mute”; telefonino con cuffiette a fine giornata a mali estremi, tipo… “ho bisogno di 10 minuti di raccoglimento per scrivere questo articolo di 3.500 battute”.
Fino a nuove disposizioni • Sì, certo, questo è il lato più estenuante, ma poi alla fine ritrovarsi a essere mamma ai tempi del Covid-19 è un po’ come immaginare un altro destino: quello “sliding doors” che non ti si era mai presentato davanti e che ti fa cambiare prospettiva. Prendendo realmente coscienza di quanto è grigia la tua dimensione (quella del lavoro frenetico intendo, così logorante, così pressante), decantando invece quel ruolo di genitore che forse oggi è troppo sacrificato per la causa. Che sicuramente varrebbe la pena vivere appieno, senza il ritmo di una contemporaneità che si è fermata a mezz’aria. Ci voleva lo straordinario per riconquistare l’ordinario. E già penso a quando ricomincerà la scuola, e a quanto mi mancherà non averlo seduto accanto, mio figlio, nella scrivania di un presente condiviso in ogni istante.